Nell'ambito della mostra dal titolo
Zibaldone di Matteo Ambu mercoledì 26 giugno alle ore 19.00
leggeranno i loro versi Gavino Angius, Alberto Cocco, Giuseppe S.
Mereu, Valentina Neri e Alessandra Fanti. La mostra è allestita al Villanova Cafè Bistrò, in via Sulis 32, a Cagliari.
Pianeti fantastici, città futuriste
dominate dalla tecnologia, è questa l’illusione ottica che si ha
subito mentre si guardano le opere di Matteo Ambu; un martellamento
di immagini invade lo spettatore ed è come se l’affastellarsi di
oggetti, perfettamente intersecati in un puzzle senza fiato, avesse
un effetto visivo simile a un suono assordante. Poi ci si avvicina e
gli spazi ipertecnologici racchiusi in una piramide, in un cubo o nel
display di una vecchia tv svelano un mondo di oggetti comuni, spesso
desueti e scomparsi quasi che l’artista fosse un poeta delle
nostalgie d‘infanzia, di quel mondo magico in cui, come diceva il
poeta Rilke, “si trovano tutte le cose che abbiamo perduto”,
dalla scarpina della bambola parlante alla vecchia cornetta del
telefono; sono mondi che muoiono di solitudine dove la vita è in
quegli reperti dimenticati che hanno il potere di condurci in viaggio
dentro l’ossimoro di una macchina del tempo malinconica e giocosa.
La monocromia fluorescente, verde acido o rosa shocking, rosso
vermiglio o blu elettrico, trae in inganno e rende questo
bombardamento di “cose” la perfetta metafora di un pianeta ormai
troppo globalizzato che, da paese a paese sta perdendo la propria
peculiarità, affannandosi dietro agli sprechi come misura della
propria ricchezza impoverendo l’individuo.
Oggi, dopo diversi anni di “variazioni
sul tema”, l’opera di Ambu si evolve; a volte le superfici, si
stringono; si ergono giraffe spaesate soffocate da una terra non più
a misura d’uomo. In questa nuova fase artistica cresce il senso del
ritmo; la coerenza del colore è data dall’elemento naturale e il
ferro predomina; ma più che ricercare incastri perfetti tra scarti
di ogni genere, lo studio di Matteo Ambu si affina, si accentua di un
maggior lirismo ricercando, proprio come in una poesia, il ritmo,
l’assonanza, l’armonia di forme ridondanti, le similitudini di
strutture ossessive che baloccano moltiplicandosi. Il gioco non è
più solo recuperare l’oggetto ma recuperare il ricordo toccando le
corde emotive della memoria distratta usando l’intuizione.
L’animale è solo, a vivere la straniazione apocalittica che lo
sovrasta, assuefatto dall’assenza di significato; o forse
l’animale, pinguino o giraffa che sia, non è l’altro che l’uomo
nel suo regredire, e che urla tutta la sua solitudine manifestando
quel disagio che, da Munk a Hopper, da Bacon a Fontana, squarcia il
silenzio delittuoso in cui è racchiuso il mistero dell’opera
stessa.
Matteo Ambu vive e lavora a Cagliari;
dopo aver compiuto studi artistici inizia ad esporre, giovanissimo,
facendosi notare da subito come uno degli artisti più interessanti
scoperti da Ercole Bartoli. Ha realizzato una mostra personale al
Teatro Civico di Castello e ha partecipato a diverse collettive.
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